Come è oramai noto, l’esito del PD a livello nazionale, il 18,7% e 19,1%, uguale quasi ai vecchi partiti territoriali o regionali/regionalisti, è l’espressione di un fallimento senza precedenti sia a livello regionale, 14,3% e 14,5%,* sia livello intra-territoriale/locale. Perché tutto questo?
PARTITO CHIUSO CENTRIPETAMENTE E CENTRIFUGAMENTE. In quest’ultima accezione il PD, come pure Forza Italia, si è sigillato verso l’esterno, ha preferito fare in buona parte la campagna elettorale nei luoghi chiusi/ristretti e per pochi, anziché scendere nelle piazze in mezzo ai tanti per cercare la sua dimensione naturale. Non riesce ad appassionare, a creare empatia, i giovani sono attratti dal M5S, non c’è storia! Distaccato dal territorio, non lo presidia più, non riesce a parlare alla pancia degli individui, è diventato troppo razionale e soprattutto non è riuscito ad incanalare il forte disagio: ad ascoltare e a porsi con umiltà nei confronti del popolo (sovrano). Entrambi hanno perso lo storico legame valoriale e identitario di ancoraggio con le comunità di appartenenza e conseguentemente hanno frantumato la pretesa della legittimità. Sono percepiti come i meno adatti e i meno credibili a governare, incapaci di porre rimedio a questioni di grande rilevanza, come per esempio immigrazione e disoccupazione giovanile.
Verso l’interno, quindi centripetamente, hanno ostacolato la riflessione ed impedito la possibilità di sintesi delle altrui opinioni. Stanno invecchiando inesorabilmente rifiutando una rigenerazione basale! Questo per il PD si può strutturare in due modi diversi: A) le primarie; B) i candidati alle ultime elezioni. Le primarie semiaperte dell’aprile del 2017 è vero che hanno riconfermato la leadership di Matteo Renzi, ma è pure vero che hanno assottigliato la piattaforma dei votanti. Rispetto a quelle del 2007, dove votarono circa 3,5 milioni di iscritti e simpatizzanti, si passa al 3,1 milione del 2009, ai 2,8 milioni nel 2014, per attestarsi al risultato di 1,8 milioni del 2017. Inascoltato campanello d’allarme se aggiungiamo che il grosso dei votanti non era composto da giovani! La quota di elettori over 65 anni è cresciuta in misura rilevante: dal 29% nel 2013, al 42% nel 2017; sempre lo scorso anno solo il 15% dei giovani tra i 18 e i 34 anni ha votato, il 9% tra i 35 e i 44 anni. L’altro aspetto è relativo alle ultime elezioni, un poco dappertutto e pure nella nostra Calabria nella stragrande maggioranza dei casi PD e Forza Italia hanno candidato soggetti che da una vita vivono di e per la politica, entità quasi impresentabili. Mi spiego, impresentabili non perché abbiano collusioni con malaffare (in alcuni casi si, in realtà), ma perché sono persone già viste e riviste che, pur avendo dato (poco o molto ai posteri l’ardua sentenza) in passato, ad oggi hanno esaurito il loro raggio d’azione! Non possono farcela più, è normale guardando anche all’anagrafica politica! Possono però rivestire un grande ruolo, che è quello dei “saggi” consiglieri con un background di informazione e di esperienza utile per le nuove generazioni che, sono desiderose di impegnarsi attivamente e fattivamente. Non hanno scommesso, quindi hanno perso!
PARTITO ELITARIO E DEL PRESIDENTE. La rottamazione e la scalata dell’uomo solo al comando è stata nel non vedere il futuro! Il PD, come anche in questo caso la creatura di Berlusconi, non ha preteso e cercato il confronto, non ha saputo mettersi in gioco, sarebbe diventato, cosa ancora più triste, il partito delle élite, votato solo dal 13,1% della classe operaia e ben dal 31,2% da quella medio-alta. Esso è, come quasi tutti gli altri, un partito patronage, in cui vige l’impegno da parte di chi riveste un ruolo apicale di distribuire prebende agli amici attraverso negoziazioni interne. Si è passati da un partito con un leader ad un leader con un partito. La trasformazione del PD in PdR, partito del Presidente, è stata una mossa sbagliata; una buona parte del fallimento ha prima di tutto un nome e un cognome: Matteo Renzi. Egli ha trasformato il partito democratico, nato dalle ceneri dei DS e prima ancora del PCI, il partito dei cittadini e dei lavoratori, dei poveri e degli ultimi, in un oggetto di sua proprietà! All’interno del quale non è stata data la possibilità ad altri di esprimere un parere “diverso”. Possiamo dire che sia diventato un partito chic (senza radical) che ha perso un patrimonio valoriale costruito nel tempo e con immensi sacrifici da chi c’è stato prima.
MOVIMENTO 5 STELLE E LEGA. Il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno provato, hanno saputo, ed sono riusciti ad intercettare le necessità e i problemi delle classi più disagiate e non tutelate del Paese, in particolare (M5S) del nostro Meridione. Il movimento di Di Maio in pratica, è diventato il portatore di istanze che sarebbero dovute diventare agenda quotidiana del gruppo di sinistra per eccellenza. Ma così non è stato. Possiamo dire che esso è diventato il vero partito della sinistra, annientando una classe politica PD, a qualsiasi livello, consunta e usurata, impotente e, l’ho detto e lo ripeto, incapace di ascoltare l’urlo che, disperato, saliva e sale dalle periferie dell’Italia del Sud ed anche da questo territorio della provincia interna catanzarese. Le aree dove è cresciuto di più nel confronto con 2013, in una range tra il 17,3 e il 33,4%, sono Campania, Puglia, Basilicata e Calabria del nord; in un range tra il 4,5 e il 17,3% è cresciuto in Sicilia, Sardegna, Calabria del sud, Marche, Abruzzo e basso Lazio.
COSA FARE? Gradualmente vi è la possibilità che i partiti che viaggino lungo il continuum destra-centro-sinistra siano destinati ad essere rimpiazzati da nuovi gruppi che rappresentano o che rappresenteranno, tutelandoli, gli interessi dei cittadini. Questo è quello che sta provando a fare, per adesso solo a parole, il M5S. Adesso, in una politica partitica post ideologica, penso che diventi centrale una comunione di intenti con il Movimento 5 Stelle sia a livello nazionale che locale. A livello nazionale sono apprezzabili le parole di Massimo D’Alema, che riesce a capire che oggi è fondamentale cercare una sintesi tra il PD e i 5 Stelle: “So che il centrosinistra non può sottrarsi al confronto; ha il dovere di andare a vedere. Nel momento in cui i 5 Stelle passano dalla propaganda elettorale alla responsabilità di governo, dovranno fare una selezione delle priorità dei passi possibili (…). Il confronto è necessario a verificare la possibilità di avere un programma comune, non demagogico ma in discontinuità con questi anni. Se non le soluzioni, la direzione di marcia dei 5 Stelle è condivisibile: ridurre le disuguaglianze, occuparsi del Mezzogiorno, colpire i privilegi: tutti, non solo quelli dei politici; ce ne sono di assai maggiori (…). Se Togliatti dialogò con Guglielmo Giannini, il fondatore dell’Uomo Qualunque, il centrosinistra può dialogare con Luigi Di Maio!”. Mi chiedo: se si fosse verificato il caso contrario? Se cioè il PD avesse raggiunto anche il 24-27% e tutta la coalizione di centro sinistra si fosse fermata al 35-38%, com’è che avrebbe formato un governo Matteo Renzi? Cosa avrebbe fatto o chiesto? Per fortuna, forse, non ci è dato sapere. A livello territoriale diventa centrale smarcarsi da ogni logica di partito, lavorare e aggregare, fare squadra: bisogna interessarsi alle problematiche delle comunità, ai territori, non chiudendosi a riccio ma avere una visione complessiva e di ampio respiro, quindi parlare dei problemi reali, di mancanza lavoro, spopolamento, trasporti, viabilità e turismo in primis e di provare a dettare delle linee guida per mitigare questi ingenti problemi che: “limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti (i lavoratori) all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ritengo che ognuno di noi possa impegnarsi e non stare alla finestra a guardare, e di certo chi vi scrive non lo farà.
di Giovanni Petronio