di Giovanni Petronio –
Ricorre il 23 dicembre il 54° anniversario della disgrazia della Fiumarella, cioè del più grave disastro ferroviario italiano dal dopoguerra ad oggi: quel giorno un rimorchio del treno si staccò dalla sua motrice e, dopo un salto nel vuoto di 40 metri, portò via con sé le speranze e i sogni di 71 innocenti. Per chi è nato a Decollatura o nell’area del Reventino, la parola Fiu-ma-rel-la rievoca dolore e annichilimento per una dramma di incalcolabile entità che, ancora oggi, strazia sia la memoria sia il cuore di ognuno. Non c’è una persona che nel comprensorio montano non conosca sia pur a grandi linee cosa sia stata la Fiumarella; ma, man mano che ci si sposta da questa area, ci si accorge che molti non hanno la consapevolezza di cosa la Fiumarella sia stata o di quali conseguenze socio-culturali abbia provocato.
Quel 23 dicembre del 1961 non era un giorno come tanti altri, era una ricorrenza speciale, era il giorno che precedeva la tanto attesa vigilia di Natale! Un momento assai atteso da tutti, sia per poter assaporare il tipico clima natalizio, con i suoi dolci e leccornie, sia per coltivare le umane passioni, come è il caso di un ragazzo di San Bernardo, frazione di Decollatura, morto quel giorno, che aveva giurato il suo eterno amore ad una bellissima ragazza di Cerrisi, altra frazione di Decollatura. I due, infatti, la sera prima si videro e, seduti sulle scalinate della Chiesa intitolata alla Vergine Addolorata, si promisero che si sarebbero sposati l’estate successiva, senza sospettare che il destino sarebbe stato beffardo e crudele nei loro confronti.
Quella gelida mattina il treno era occupato sia da ragazzi che si recavano a Catanzaro per andare a scuola a salutare i loro compagni e i loro professori e per congedarsi per le vacanze natalizie , sia da cittadini comuni che si recavano in città per fare acquisti o per vendere qualche prodotto della zona, come usavano fare in diverse occasioni. Quella maledetta mattina il treno non arrivò mai alla sua destinazione finale: il vagone si staccò forse a causa dell’alta velocità che il macchinista Miceli teneva, e al quale troppo in fretta furono attribuite le colpe del disastro, trasformandolo in un capro espiatorio. Quel tragico volo dal ponte sul Torrente Fiumarella recise crudelmente le esistenze di tutta quella povera gente e segnò a vita intere comunità, in particolare quella di Decollatura che in quel dramma perse oltre 30 persone, la stragrande maggioranza ragazzi. Quei giovani decollaturesi si recavano a Catanzaro per studiare grazie ai grandi sacrifici che le loro famiglie sopportavano e per poter conseguire un diploma che certamente li avrebbe aiutati a costruirsi una vita più dignitosa.
Sono tante le vicende intrecciate sull’argomento: qui vorrei raccontarne una, quella di Giuseppe Costanzo (nella foto). Rammentare alla memoria questa vicenda significa descrivere anche la parabola umana di sua madre, la signora Francesca Cerra, ancora in vita. Francesca è una signora eccezionale nata subito dopo la prima guerra mondiale, nel 1920 a Cerrisi, che ricorda vagamente il periodo fascista e perfettamente la Guerra. Nella primavera del 1943, quella in cui i primi bombardamenti alleati iniziavano a colpire la Calabria, si sposò con Raffaele Costanzo, un giovane di Borboruso, (frazione del comune di Pedivigliano), di qualche anno più grande: era infatti nato nel 1913. I due andarono a vivere a Iunci, frazione rurale di Decollatura. Vissero insieme poco tempo, qualche settimana, fino a quando lui non venne richiamato e mandato a combattere; fu incluso nel XIV Mitraglieri fanteria e condotto in Albania. La donna rammenta alla perfezione di come in quel periodo la suocera non l’abbandonò e la protesse. Tra maggio e giugno del 1943, probabilmente grazie ad una licenza, o prima di partire per il conflitto, i due sposi riuscirono a trascorere la notte insieme, l’ultima notte della loro vita! Infatti il 30 luglio del 1943 Raffaele cadde in battaglia in Albania; la notizia arrivò alla donna tramite un messo comunale, proprio pochi giorni dopo aver scoperto di aspettare un bambino. In quell’ultima notte, infatti, i due sublimarono il loro grande amore concependo Giuseppe, che sarebbe nato il 7 febbraio del 1944. La donna distrutta dalla grave perdita si fece forza per andare avanti ed allevare al meglio l’amatissimo figlio, rappresentando egli l’ultimo legame che gli rimaneva del caro marito. Francesca provò ad avere informazioni sulla fine fatta da Raffaele, ma non ebbe risposte certe; le fu detto che accidentalmente suo marito cadde da un’imbarcazione ed affogò nelle acque del mar Adriatico. La giovane donna tirò su con immensi sacrifici e con tanto amore il suo gioiello più grande, fino a quando la mattina del 23 dicembre il suo amato“Giuseppuzzu”, ormai diciassettenne, precipitò dal ponte della Fiumarella e con lui idealmente precipitò anche la povera donna, già duramente provata dalla morte del coniuge. Giuseppe riportò ferite apparentemente leggere, tali da lasciare presagire una rapida ripresa, ma probabilmente erano in atto delle emoraggie interne che lo portarono a lasciare la vita terrena il 29 dicembre del 1961, presso l’ospedale militare di Catanzaro. Questo evento provocò nella donna un estremo ed immenso senso di smarrimento che le ha permesso di sopravvivere, ma di non vivere più pienamente la sua esistenza.
Oggi tutti noi, istituzioni comprese, abbiamo un dovere categorico, quello di ricordare, che è un dovere morale ed etico, che è necessario tramandare alle generazioni future. Il ricordo di ciò che è stato e di ciò che quell’evento ha causato, non può e non deve cadere nell’oblio del tempo. Il disastro ferroviario della Fiumarella rappresenta uno spartiaque nella storia delle nostre comunità, sia di Decollattura sia della Calabria intera. Decollatura di certo non ha mai dimenticato, a differenza del nostro capoluogo di Regione che tentenna a ricordare, insieme alla nostra stessa Regione. Solo pochi giorni fa, dopo l’invito di un privato cittadino, il presidente Oliverio, in visista a Decollatura, si è recato, nel Cimitero di Decollatura, a far visita al Mausoleo che accoglie le vittime, un atto non previsto che ha assunto un’importanza notevole. L’evento è ricordato dall’Azienda Ferrovie della Calabria con una lastra di marmo, poco più grande di una cartellina porta documenti, appesa nell’indifferenza generale in un angusto spazio nella stazione di Catanzaro! Possibile che nulla in più si possa fare? Dimenticare è divenuto uno sport tipico delle istituzioni; lo dimostra il fatto che a prescindere dal 50° anniversario, nulla è più stato detto o fatto; nulla che istituzionalizzi il 23 dicembre come il “Giorno della Memoria” cioè come un giorno per non dimenticare che nella tragedia della Fiumarella non sono morte “solo” 71 persone, ma è morto un modo di essere, un modo di pensare, un modo di vivere.
PS: Dedico questo articolo alla signora Francesca, a tutte le mamme, figli, nipoti e fratelli dei morti della Fiumarella, a tutti loro che cioè vissero l’immane tragedia. Lo faccio con profondo rispetto e infinito affetto. Scrivere la parola FIUMARELLA in maiuscolo non è un errore, è una licenza che mi concedo, per dare alla sciagura quell’importanza che le Istituzioni, troppo miopi e poco votate alla memoria, non riescono a darle.