A Tiriolo, nelle viuzze del centro storico, ai piedi dei ruderi ancora imponenti del castello di fondazione aragonese, c’è uno stretto budello di pietra che ricorda l’antro del ciclope di omerica memoria, uno spazio quasi ancestrale adibito a laboratorio e in realtà occupato non da un essere mitologico ma da un artista.
Lui, Tommaso “Masino” Leone, che del ciclope ha solo un po’ la stazza ma non l’aspetto, è un omone intorno ai sessant’anni, un artista poliedrico che ci tiene a precisare di aver iniziato la sua formazione all’Accademia delle Belle Arti di Catanzaro, dove si è diplomato, ma di averla poi proseguita sul territorio, e in archivi e biblioteche, impegnandosi in ricerche etno-antropologiche, nel campo dell’arte, della musica, delle tradizioni più profonde di questi luoghi, che hanno dato dei frutti inimmaginabili.
Pittore, scultore, liutaio, costruisce strumenti musicali di antica tradizione, soprattutto chitarre battenti e lire calabresi, uno strumento di chiara origine medievale, che suona con notevole maestria, sottolineando che lui non è un musicista ma solo uno che suona. E suona anche il suo organetto d’epoca che custodisce con cura quasi maniacale, intatto e mai modificato nel tempo, nonostante le piccole imperfezioni dovute soprattutto all’umidità, perché «di ogni strumento musicale è importante che il suono abbia un’anima diversa da tutte le altre».
E a conferma di ciò, mostra un pezzetto di legno, apparentemente insignificante, che sporge da una lira e dice: «questo è l’anima dello strumento, senza di questo il suono della lira è senz’anima»; la lira, che si ottiene da un unico pezzo di legno, «che lavoro con l’ascia da falegname». E dicendolo ce ne mostra uno, un pezzo di legno che tra un po’ di tempo e tanta fatica diventerà proprio una lira.
Alle pareti e sugli scaffali c’è di tutto e tutto quello che c’è è opera sua. Nel campo dell’arte e dell’artigianato ha sperimentato da una vita e accumulato oggetti che farebbero forse la felicità di un gallerista newyorkese. Oltre ai numerosissimi strumenti musicali, di tutte le forme e dimensioni, si fa notare un grande quadro di soggetto classico con inserti di tessuti preziosi, come le tante sculture in legno di pregevole fattura, i bassorilievi finemente decorati, le maschere apotropaiche e le marionette.
Nel campo della musica, è stato tra i fondatori di alcuni gruppi che hanno fatto la storia del folk calabrese, fino alla nascita nel lontano 1989, per fusione di gruppi preesistenti, degli Agorà, che hanno pubblicato anche un disco nel 2003, “Tinghi e tingone” di cui, dice sconsolatamente, «al momento mi è rimasta solo la copertina», benché lui del gruppo fosse un polistrumentista e uno dei protagonisti, «ma assieme a dei veri musicisti, per cui tutto veniva abbastanza facile» tiene sempre a precisare con la modestia dei personaggi come lui, tesori nascosti di una Calabria che quasi sempre non sa valorizzarsi a sufficienza.
Insomma, un artista “a tutto tondo”, proprio come le sue statue lignee, quei busti che, dagli scaffali su cui sono disposti in un disordine solo apparente, sembrano osservare sornioni il visitatore stupito. Come una marionetta, un pinocchio ad altezza naturale, che, come quello di Collodi, sembra essere grato al suo creatore, un mastro Geppetto contemporaneo, più artista che artigiano, capace ancora di dare la vita a un semplice pezzo di legno.
di Raffaele Cardamone
In basso la foto realizzata da Antonio Renda (Fototeca della Calabria):